La Knowledge Curation è l'attenta gestione e selezione delle conoscenze aziendali, strettamente legata ad una buona strategia di Knowledge Management. Pigro offre soluzioni per la gestione della documentazione aziendale, facilitando il processo di ricerca delle informazioni attraverso semplici domande, senza l’utilizzo di parole chiave o tag.
Nonostante ricopra un ruolo fondamentale per la produttività dell’azienda e per la sua efficienza, quello della knowledge curation è un settore ancora poco conosciuto.
Come dice il nome stesso, consiste nella gestione e selezione dei contenuti relativi alla conoscenza aziendale. Come vedremo, questi contenuti sono le colonne portanti dell’azienda: grazie ad essi è possibile per i dipendenti svolgere il proprio lavoro, potendo consultare i documenti necessari per portare a termine i task o per soddisfare le richieste di clienti.
Ma se questa documentazione non fosse accessibile? Se tutto il sapere aziendale conservato nei contenuti non potesse essere visionato da chi ne ha bisogno? Nello scenario peggiore il flusso aziendale finirebbe per rallentare o, addirittura, fermarsi.
Un errore comune, invece, è quello di sottovalutare l’importanza della knowledge base aziendale (knowledge base cos’è), dando ai dipendenti accesso ai contenuti, ma non fornendo loro gli strumenti adeguati per ricercare rapidamente le informazioni.
Molto spesso, infatti, il modo di catalogare e archiviare la documentazione è lasciato a discrezione e buon senso del dipendente, senza delle policy aziendali condivise. In altri casi invece, per quanto siano delineate delle linee guida in merito, rimangono le difficoltà legate alla ricerca, spesso effettuata per parole chiave, che genera il problema di cercare un contenuto senza sapere com’è stato nominato.
Per questo, e per altri motivi che vedremo in seguito, è importante realizzare una strategia di knowledge curation strutturata, che comprenda una gestione dei contenuti a 360 gradi, dalla fase di creazione a quella di ricerca, unita all’utilizzo di knowledge management systems.
Questi ultimi, infatti, possono semplificare il processo e rendere la documentazione facilmente consultabile, evitando così numerose perdite di tempo ai dipendenti come, ad esempio, la lettura di interi documenti composti da centinaia di pagine per poter trovare l’informazione necessaria.
Per poter comprendere la knowledge curation è necessario approfondire il concetto di knowledge management, ovvero di gestione della conoscenza, su cui si fonda.
Il termine “conoscenza” rimanda al concetto di apprendere qualcosa, imparare ad utilizzarlo o scoprirne il funzionamento. Si differenzia dall’informazione, che è composta da dati, poiché la conoscenza è legata alla comprensione, al capire, mettendo insieme e collegando tra loro una serie di informazioni.
La conoscenza all’interno dell’azienda riguarda tutti gli ambiti e i settori: le policy aziendali, le schede tecniche e di prodotto, i bilanci ecc. sono tutti contenuti della knowledge base, ovvero della struttura documentale dell’azienda.
La gestione di questa documentazione è necessaria per il corretto funzionamento della “macchina aziendale” e, affinché questo accada, deve rispettare alcune caratteristiche:
– la documentazione deve essere digitale: purtroppo ancora tantissime realtà ricorrono al cartaceo per documenti e contenuti. Questo rende difficile la consultazione, in quanto non risulta accessibile a tutti, è necessaria la presenza fisica nel luogo in cui si trovano le informazioni e, se non catalogate in maniera precisa, i dipendenti perderanno ore nello sfogliare cartelle disorganizzate;
– devono essere presenti policy di archiviazione: una volta appurato che l’unico modo per reperire rapidamente informazioni è averle in formato digitale, è importante soffermarsi sull’organizzazione dei documenti. Per far sì che i contenuti siano davvero a disposizione di tutti, devono essere archiviati in modo uniforme, seguendo delle linee guida stanziate dall’azienda, che permettano di capire dove poter reperire le informazioni necessarie;
– avere uno strumento che supporti nella ricerca: la knowledge base è utile solo se facilmente interpellabile. Spesso infatti i due step precedenti non sono sufficienti per permettere ai dipendenti di trovare ciò che stanno cercando in poco tempo; per questo è necessario l’utilizzo di software.
Esistono varie tipologie di strumenti, tra cui quelli sviluppati con intelligenza artificiale, che permettono di trovare i contenuti all’interno della documentazione senza l’uso di tag e categorie, ma ponendo delle semplici domande al sistema, in grado poi di estrarre il paragrafo di risposta direttamente dalla knowledge aziendale.
Poter trovare subito le informazioni necessarie riduce al minimo le perdite di tempo, permettendo così ai dipendenti di dedicarsi a mansioni a più alto valore aggiunto e aumentando, di conseguenza, la produttività di interi dipartimenti.
Il knowledge management è un settore molto ampio, al cui interno sono presenti alcune sotto-categorie che integrano il concetto di gestione della conoscenza, come ad esempio:
– il knowledge mapping: creazione di mappe della conoscenza, ovvero uno strumento per comprendere rapidamente chi, all’interno dell’azienda,sia la persona più competente per ogni attività, in modo che, in caso di necessità, non si perda tempo nell’individuarla. Il knowledge mapping potrebbe avere un ruolo secondario in caso di una corretta condivisione della conoscenza;
– il knowledge sharing: è la condivisione della conoscenza, che comprende lo sviluppo di reti e sistemi che consentano ai dipendenti di trovare le informazioni che cercano all’interno della knowledge base. Questo consente di risparmiare tempo e avere risposte tempestive, fondamentali per garantire la produttività;
– la knowledge creation: è la creazione di conoscenza aziendale, volta a strutturare la knowledge base e a elaborare nuovi contenuti.
Dopo aver parlato del concetto più generale di knowledge management, siamo pronti per addentrarci in un’area molto meno conosciuta e approfondita, ma altrettanto importante: la knowledge curation.
Quando si parla di gestione della conoscenza d’impresa, si fa sempre riferimento alle informazioni e al processo per rielaborarle con lo scopo di ottenere un determinato risultato.
Tuttavia, un aspetto importante, e spesso sottovalutato, è proprio la creazione e selezione dei contenuti aziendali rilevanti.
Ikujiro Nonaka e Hirotaka Takeuchi, autori del libro “The Knowledge-Creating Company”, coniano il termine “organizational knowledge” (conoscenza organizzativa) proprio per differenziare questo aspetto di content curation dal più generico concetto di gestione delle informazioni, e ne danno la seguente definizione: “per creazione di conoscenza organizzativa noi intendiamo la capacità di un’azienda nel suo insieme di creare nuova conoscenza, diffonderla in tutta l’organizzazione e incorporarla in prodotti, servizi e sistemi” (Nonaka, Takeuchi, 1995).
Non è più una mera analisi della documentazione esistente, ma la creazione di nuovi contenuti al fine di condividerli in favore di tutta l’organizzazione aziendale.
L’esigenza di tramandare le nostre conoscenze e di lasciare una traccia del nostro passaggio ci appartiene da sempre. Per questo, parlando dell’evoluzione della knowledge e content curation, occorrerà partire dalla preistoria fino ad arrivare ai giorni nostri, per comprendere l’importanza della cura delle informazioni e di come questo appartenga al genere umano sin dall’inizio della civiltà.
Spesso legato alla necessità di creare qualcosa che rimanesse oltre la morte, già nella preistoria si rintracciano le prime tracce dell’esigenza di registrare le informazioni.
I disegni rupestri sono incisioni sulla roccia, realizzate con l’ausilio di vari strumenti appuntiti, utilizzando varie tecniche, come la picchettatura o la raschiatura.
Le prime incisioni risalgono alla comparsa dell’Homo sapiens e venivano realizzate per narrare la quotidianità, ricca di animali selvatici, uomini e donne, impronte. L’obiettivo della realizzazione di tali immagini era la trasmissione della conoscenza legato alla sopravvivenza e alla descrizione dei pericoli.
Un passaggio di forma, ma non di sostanza, avviene con l’invenzione della scrittura in Mesopotamia nel 3000 a.C. Lentamente si abbandona l’utilizzo del disegno per passare alla scrittura, all’utilizzo della parola. Per secoli però la scrittura è stata appannaggio di pochi e dovremo attendere gli amanuensi che, anticipando la stampa, cercheranno di diffondere più velocemente i libri sacri creandone numerose copie. Questo permetterà l’aumento del raggio di diffusione delle informazioni, che possono raggiungere più persone anche in luoghi lontani.
Inventata in Asia da Bi Sheng nel 1041 e in Europa da Johannes Gutenberg negli anni 1453-55, la stampa a caratteri mobili permette di realizzare copie dello stesso libro in poco tempo, rendendo la conoscenza condivisibile e diffondibile.
Dopo anni di ricerca Gutenberg riesce a trovare la giusta tecnica di realizzazione: allineando i singoli caratteri fino a formare una pagine, poi cosparsa di inchiostro e pressata su carta. Rispetto agli altri studiosi, la sua tecnica si differenzia per l’uso dei caratteri mobili, che si discosta dal precedente utilizzo di un unico pezzo di legno da cui ricavare le matrici.
Le informazioni considerate prioritarie all’epoca erano i testi sacri: il primo ad essere riprodotto, infatti, fu proprio la Bibbia.
A partire dal 1800, quando viene progettato il primo calcolatore, antenato dei moderni computer, fino ad arrivare al giorno d’oggi, le informazioni a disposizione sono aumentate esponenzialmente e, soprattutto, sono diventate digitali. I computer iniziano ad essere presenti in tutte le aziende e, successivamente, in tutte le case facendo crescere il numero di persone che creano contenuti. Insieme a questo, però, arrivano anche i problemi di gestione di tali informazioni, che non possono essere più organizzate come è stato fatto fino a quel momento, ma richiedono l’utilizzo di software e dell’intelligenza artificiale.
L’importanza della “cura delle informazioni” emerge in maniera preponderante in due settori: la curatela museale e il knowledge management.
I musei e gli archivi, prima di tutti gli altri settori, comprendono l’importanza di una documentazione strutturata e resa facilmente accessibile; per questo nasce la disciplina della curatela, per porre ulteriore enfasi sulla necessità di sviluppare tecniche e tecnologie ad hoc per la gestione delle informazioni.
Dagli anni ‘80 in poi anche le aziende iniziano a comprendere l’importanza del knowledge management e della content curation, portando gli studiosi ad elaborare modelli per la gestione delle informazioni come il modello SECI, di Nonaka e Takeuchi, che vedremo nei prossimi paragrafi.
Di pari passo con lo sviluppo degli strumenti tecnologici e con l’aumento dei dati da essi prodotti, nasce inoltre la Digital Curation, che fa riferimento alla selezione, conservazione, gestione e archiviazione dei materiali digitali.
I digital assets, che includono qualsiasi tipo di dato o informazione digitale, devono essere gestiti e valorizzati in modo da garantirne l’utilizzo presente e futuro.
In ambito aziendale, la digital curation viene impiegata per migliorare la qualità delle informazioni all’interno dei processi operativi e strategici. I principali vantaggi di questa pratica riguardano, infatti, il garantire l’accesso alla documentazione aziendale digitale e preservarla dall’obsolescenza.
Parlando di informazioni, contenuti e condivisione e selezione degli stessi, è necessario analizzare nello specifico le due tipologie di conoscenza: forma implicita ed esplicita. In base a questo, infatti, è possibile comprendere le peculiarità e l’importanza di realizzare una strategia di knowledge curation, delineando come realizzarla in modo efficace.
Per esplicita si intende quel tipo di conoscenza che può essere trasmessa oralmente e attraverso la scrittura. Sono esplicite tutte le informazioni teoriche che possono essere codificate e, rispetto a quelle implicite, essere trasferite con maggiore facilità.
Potendo essere trasmesse attraverso la scrittura, infatti, è possibile tenere traccia di tutte le informazioni relative alla conoscenza, potendole così condividere con gli altri dipendenti.
La conoscenza esplicita è una conoscenza formale che, in quanto scritta, permette alle informazioni di circolare evitando di essere appannaggio di pochi.
Rientrano nella conoscenza implicita tutte quelle informazioni e nozioni che non possono essere trasmesse oralmente attraverso l’uso del linguaggio. È una conoscenza che nasce dall’esperienza lavorativa sul campo ed è legata al contesto e alla capacità di comprensione di esso, unito alle azioni e alle sensazioni che difficilmente possono essere insegnate.
Hedlund, studioso e autore di numerosi libri sul knowledge management, in “Identifying and assessing tacit knowledge: Understanding the practical intelligence of military leaders” delinea le caratteristiche della conoscenza implicita:
– non si impara ma si acquisisce autonomamente;
– è legata al “sapere cosa fare” e non al “sapere come fare”: per questo è relativa all’agire pratico piuttosto che nozionistico;
– è basata sulla propria esperienza personale;
– esistono due tipi di intelligenza: astratta e pratica. La conoscenza implicita appartiene a quest’ultima.
Per quanto questo tipo di conoscenza sia più difficile da “tramandare”, resta comunque la necessità che tali informazioni non siano vincolate al singolo dipendente che le detiene. In caso di licenziamento o pensione, queste conoscenze andrebbero perse in maniera irreversibile, con ovvie ripercussioni sull’azienda.
Per questo esistono delle strategie per poter condividere la conoscenza implicita:
– trascrivere i passaggi legati all’esecuzione di task: per quanto determinate nozioni non possano essere spiegate a voce, creare un elenco di passaggi specifici per ogni attività può essere d’aiuto ai dipendenti che poi dovranno intraprendere tali azioni in autonomia e crearsi una propria conoscenza tacita;
– riflettere insieme: un momento di riflessione su argomenti non esplicitati in alcun documento permette ai dipendenti di comprendere la logica antistante l’azione, permettendo così di poterla sperimentare;
– fare affiancamento: vivere insieme un’esperienza è il miglior modo per poter trasmettere una conoscenza tacita, in quanto, vivendo in prima persona l’evento, è possibile immagazzinare tutte le nozioni, implicite ed esplicite, che permetteranno poi di svolgere nuovamente il compito in autonomia;
– osservare: qualora non fosse possibile affiancare il professionista esperto, può essere effettuato un periodo di osservazione; l’esperienza sarà meno coinvolgente e richiederà maggior tempo, ma vedere concretamente cosa comporta un determinato task è fondamentale per il dipendente;
– tenere traccia scritta dei racconti e delle esperienze narrate dai professionisti: pur non vivendo direttamente l’evento, è possibile trarre numerose informazioni e spunti da ciò che viene raccontato. Perché venga tramandato è necessario che ciò passi dalla forma orale a quella scritta.
Come già accennato in precedenza, Nonaka e Takeuchi sono tra i massimi esperti di knowledge management e, conseguentemente, di conoscenza implicita ed esplicita.
Oltre a coniare l’espressione “conoscenza organizzativa”, nel 1996 hanno creato il modello SECI, frutto dei loro studi relativi alla knowledge curation.
Il modello è strutturato realizzando quattro tipologie di combinazioni di conoscenza tacita ed esplicita, ponendo l’attenzione su come le informazioni vengano organizzate all’interno delle aziende:
– S (Socialization) – tacita tacita: la conoscenza tacita è quella legata alle esperienze e alle azioni, difficilmente tramandabile in forma orale e scritta. La socializzazione è legata alla condivisione di tale conoscenza attraverso quattro modalità principali: esperienza condivisa, imitazione, osservazione e comunicazione.
Alla necessità di comunicare informazioni tacite, si risponde con strumenti di diffusione “taciti”, legati quindi più all’esperienza che alle nozioni;
– E (Externalization) – tacita esplicita: l’”esternalizzazione” si ha con il passaggio della conoscenza da tacita a esplicita. È il passaggio più complesso in quanto i due tipi di conoscenza sono diametralmente opposti e per poter trasformare informazioni legati all’esperienza in forma scritta è necessario elaborare strategie specifiche e strutturate. Un esempio è la descrizione dei concetti, cercando di elaborare gli step per ogni task o nozione astratta, con l’obiettivo di dargli una forma più concreta possibile. Alcuni studiosi nutrono delle perplessità relativamente alla fattibilità di questo punto in quanto la conoscenza tacita è per definizione impossibile da codificare;
– C (Combination) – esplicita esplicita: mentre l’esternalizzazione è lo step più difficile, la combinazione invece è quello più semplice e lineare. La nuova conoscenza viene creata direttamente da quella esplicita, perciò codificata, come possono essere altri documenti o procedure.
Qui non è necessario alcun passaggio ma si parte dalla conoscenza esplicita per formare nuova documentazione esplicita;
– I (Internalizzazione) – esplicita tacita: quando le fonti esplicite vengono apprese e metabolizzate, si ripercuotono nelle azioni, andando a modificare, di conseguenza, la conoscenza tacita, ritornando così al principio della socializzazione. Questo passaggio non è la conclusione del percorso ma l’ultimo tassello prima di ricominciare da capo: il modello ideato da Nonaka e Takeuchi, infatti, non è una struttura rigida ma una spirale che crea continuità tra tutte le combinazioni.
Come abbiamo visto in precedenza, Ikujiro Nonaka e Hirotaka Takeuchi, nel libro “The Knowledge-Creating Company”, creano il termine “organizational knowledge” per separare le due macro aree che compongono il concetto di gestione della conoscenza: l’aspetto della creazione dei contenuti dalla più generica gestione delle informazioni.
La knowledge curation, infatti, tende spesso a non essere considerata all’interno delle strategie e numerose aziende non contemplano la necessità di creare nuova documentazione, oltre a organizzare quella già esistente.
– Le risorse di “organizational knowledge” descritte da Nonaka e Takeuchi sono di varie tipologie:
– risorse individuali: sono le skills personali di ogni dipendente, principalmente conoscenze tacite, ovvero quelle legate all’azione, piuttosto che alle nozioni teoriche;
– risorse di gruppo: conoscenza diffusa all’interno di uno specifico gruppo di persone ma non condivisa con il resto dell’azienda;
– risorse strutturali: conoscenza legata ai processi che può essere diffusa e nota a tutti, oppure solo a determinati settori o, addirittura, a pochi dipendenti;
– risorse organizzative: relative alla struttura della conoscenza e come questa viene organizzata e condivisa. Tutte le risorse precedenti infatti sono diffuse all’interno dell’azienda secondo schemi formali ed informali. Le risorse organizzative servono per gestire questi flussi e spostamenti di conoscenza, perché siano strutturati e per verificare che la conoscenza non sia mai detenuta da un solo individuo, rischiando così di andare persa in caso il dipendente lasciasse l’azienda.
Sono parte integrante delle risorse organizzative gli strumenti di knowledge management, che aiutano la circolazione delle informazioni rendendo facilmente rintracciabili i documenti all’interno della knowledge base aziendale.
– risorse extra-organizzative: risorse presenti all’esterno dell’organizzazione che però potrebbero essere inglobate in essa per migliorarla.
Dopo aver analizzato nello specifico cosa si intende per knowledge curation è necessario soffermarci su un altro termine che spesso viene accomunato ad esso: content curation.
Può capitare di pensare infatti che, essendo spesso associati, possano essere sinonimi e rappresentare lo stesso concetto.
Ma non è così. Vediamo le principali differenze:
– la differenza la fa il curatore: per quanto sia presente in entrambe, la figura del curatore nella content curation può essere intrapresa da tutti, mentre nella knowledge curation è invece necessario un professionista della materia;
– l’aggregazione e la content curation è relativa al voler rimanere sempre aggiornati su qualsiasi notizia, con contenuti più generali e ad ampio raggio, mentre la knowledge curation punta a selezionare contenuti più rilevanti e specifici. Per questo se volessimo paragonarla all’analisi dei dati, si potrebbe affermare che la content curation lavora con dati non strutturati, mentre la seconda cerca di dare una forma agli stessi, elaborando le informazioni per creare conoscenza.
– la content curation lavora più sulla quantità, mentre la knowledge curation più sulla qualità;
– un ruolo importante è giocato dall’intento con cui vengono creati i contenuti: in base ad esso e alla sua specificità si parla di knowledge o di content curation.
La knowledge curation è una materia importante e molto complessa. Per questo è necessario avvalersi di figure professionali specifiche per redigere una strategia efficace. Vediamo quali sono i professionisti del settore e le loro peculiarità.
Il knowledge manager è colui che raccoglie, organizza e amministra le informazioni, dando una struttura generale alla knowledge base e divulgando le policy per la corretta creazione e archiviazione di nuova documentazione.
Tra i principali task del knowledge manager ci sono:
– determinare le policy organizzative relative alla conoscenza aziendale: è importante definire le linee guida che i dipendenti sono tenuti a seguire per una corretta organizzazioni delle informazioni;
– stabilire la strategia di knowledge management: determinare quale strategia seguire, delineandone gli aspetti principali e gli obiettivi da realizzare per una corretta gestione della conoscenza aziendale;
– definire i migliori strumenti di knowledge management system di supporto alla strategia;
– creare nuovi contenuti all’interno della knowledge base;
– proporre progetti innovativi per migliorare la ricerca di informazioni all’interno della documentazione;
– effettuare un monitoraggio periodico con i dipendenti per comprendere se la strategia sta funzionando e apportare modifiche tempestive qualora fosse necessario;
Spesso il problema principale a cui il knowledge manager deve fare fronte è la difficoltà di ricerca delle informazioni all’interno della conoscenza. Una knowledge base ben strutturata, infatti, non sempre è sufficiente per permettere ai dipendenti di trovare ciò di cui hanno bisogno. Per questo è necessario ricorrere a knowledge management software che permettano di velocizzare la ricerca delle informazioni, unito alla creazione di contenuti che vadano a colmare le lacune presenti nella documentazione.
Figura molto simile al knowledge manager ma, invece che essere interno all’azienda, è un servizio esterno, che determina le linee guida da seguire per poi passarne l’esecuzione all’azienda. Tipicamente viene definito un referente interno all’azienda che si occupa di fare da intermediario tra il consulente che definisce la strategia e i dipendenti che dovranno metterla in atto.
Avere un consulente esterno per la conoscenza aziendale è consigliato per le aziende medio-piccole in cui è sufficiente impostare una strategia iniziale che richiede aggiornamenti periodici o sporadici. Nei casi in cui invece è presente una consistente mole di documentazione il knowledge management consultant può non essere sufficiente, dovendo prediligere una risorsa interna all’azienda che ne conosca maggiormente il funzionamento e la struttura, operando direttamente al suo interno.
Mentre il knowledge manager e il knowledge management consultant sono maggiormente legate alla gestione della documentazione, una figura più specifica nella creazione della documentazione è il Chief knowledge curator.
È un vero e proprio curatore della knowledge e ne gestisce tutti gli aspetti, dalla creazione all’organizzazione della documentazione esistente, compresa l’ideazione della strategia e il suo conseguimento.
Il responsabile della knowledge curation si occupa di cercare, curare e condividere la conoscenza, mettendo a disposizione dei dipendenti tutti gli strumenti necessari per rendere le informazioni accessibili e per diffonderle il più possibile in azienda.
Un’azienda che non ha un buon sistema di knowledge sharing infatti rischia di subire rallentamenti quotidiani: ogni dipendente infatti sarà costretto a bloccare il suo iter lavorativo ogni qualvolta abbia bisogno di un’informazione che non riesce a trovare tempestivamente.
I reparti di Help Desk e Customer Service, inoltre, che sono chiamati a dare risposte veloci ed esaustive ai clienti, rischiano di essere inefficienti se non vengono creati contenuti aziendali relativi a tutti gli aspetti del loro lavoro e se questi non sono facilmente ricercabili.
Il Chief Knowledge Curator si occupa di non far accadere tutto ciò, gestendo la knowledge base e realizzando una strategia di knowledge management efficiente.
La documentazione è la base storica su cui si fonda l’azienda: è composta da tutte le procedure, le prassi, le policy e ogni tipo di informazione necessaria per il funzionamento della “macchina aziendale”.
Per questo è fondamentale investire in personale e strumenti per organizzare la documentazione già esistente, rendendo le informazioni al suo interno facilmente rintracciabili. A questa è necessario aggiungere costantemente nuova documentazione: ogni azienda è in continua evoluzione e questo cambiamento deve essere rilevabile anche all’interno della knowledge base, con la creazione di nuovi contenuti e l’aggiornamento di quelli obsoleti. Inoltre, solo strutturando le informazioni si scoprono eventuali lacune della knowledge base, potendo così colmarle prima che questo rappresenti un problema per il lavoro del dipendente e per la produttività dell’azienda.
Una buona strategia di knowledge curation, unita all’utilizzo di strumenti di gestione della conoscenza aziendale, permette di risparmiare tempo avendo sempre tutte le informazioni a disposizione, organizzate e strutturate per aumentare la produttività di tutto il personale.
https://www.aib.it/aib/contr/bottin1.htm
https://www.elearningvincente.it/elearning-conoscenza-tacita-esplicita/
https://www.kmworld.com/Articles/Column/The-Future-of-the-Future/Welcome-to-Curation-2.0-108249.aspx
https://www.knowledge-management-tools.net/introducing-organizational-knowledge.php
https://sorabg.medium.com/content-or-knowledge-curation-118d12262df1
Affinché un’azienda risulti organizzata è necessario possedere delle procedure condivise, che descrivano tutte le attività aziendali, con i ruoli, i task e gli obiettivi attesi, così che tutti i dipendenti possano essere in grado di svolgere il lavoro.
Chat GPT è un’intelligenza artificiale in grado di scrivere e generare contenuti di ogni tipo e su ogni argomento.
Ogni dipendente in azienda e organizzazioni dispone di un patrimonio di informazioni che, spesso, risulta difficile da condividere: si tratta della cosiddetta “tacit knowledge”, o conoscenza implicita, composta da processi decisionali, intuizioni, iniziative, best-practices collaudate con il tempo.